Affittare una proprietà su Airbnb in Italia può essere un ottimo modo per generare un reddito extra, ma comporta anche il rispetto di alcuni obblighi fiscali. Una delle domande più comuni tra gli host è se sia possibile offrire alloggio senza possedere una partita IVA. La risposta dipende da diversi fattori, come la frequenza con cui si affitta l’immobile, i servizi aggiuntivi offerti e i redditi generati.
In generale, se l’affitto è saltuario e gestito come privato, potresti essere esentato dalla registrazione come lavoratore autonomo con partita IVA. Tuttavia, superare determinati limiti di reddito o offrire servizi tipici delle strutture alberghiere può cambiare il tuo inquadramento fiscale. Questo articolo analizza gli aspetti legali e pratici da considerare per essere in regola con la normativa italiana.
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Le implicazioni legate all’IVA per gli host di Airbnb in Italia dipendono da come viene classificata l’attività di locazione e dal livello dei servizi offerti.
Occasionale: Se l’affitto è sporadico e non include servizi aggiuntivi (come pulizia quotidiana, colazione o reception continua), in genere non è necessario registrarsi con partita IVA. I redditi vengono dichiarati come redditi personali, tassati secondo il regime fiscale appropriato.
Profesiionale: Se l’attività è continuativa e simile a quella di un’attività alberghiera, è obbligatorio aprire una partita IVA, con la conseguente gestione e dichiarazione dell’IVA.
Anche se non esiste una soglia fissa per determinare l’obbligo di aprire una partita IVA, superare i 5.000 € annui o affittare più di quattro immobili è spesso considerato indice di attività professionale, specialmente se i guadagni sono regolari.
Se, inoltre, vengono offerti servizi accessori come trasporti, catering o attività turistiche, sarà probabilmente necessario emettere fattura con IVA, poiché tali prestazioni superano la semplice locazione.
Anche in assenza di obbligo IVA, questi redditi vengono comunque considerati redditi occasionali (redditi diversi) e devono essere dichiarati.
Gli host con partita IVA devono emettere fattura applicando l’aliquota IVA prevista, che varia in base al tipo di servizio (in genere il 22% in Italia), e presentare dichiarazioni periodiche:
Le piattaforme come Airbnb sono obbligate ad applicare una ritenuta fiscale (cedolare secca) del 21% sui pagamenti effettuati agli host in caso di locazione breve. Questa tassa viene trattenuta automaticamente e va dichiarata a fine anno fiscale.
È fondamentale capire se l’attività è occasionale o professionale: questo determina l’obbligo di partita IVA e il tipo di gestione fiscale da adottare. Consultare un commercialista esperto in normativa italiana è essenziale per evitare problemi legali e ottimizzare la redditività.
I property manager che gestiscono affitti su Airbnb possono beneficiare di alcune esenzioni IVA, a patto che rispettino determinate condizioni previste dalla normativa fiscale. Le esenzioni dipendono dal tipo di attività svolta, dal regime fiscale scelto e dal volume di reddito.
Se il gestore si occupa solo di affitti di breve durata (meno di 30 giorni) e l’attività è occasionale o limitata, può rientrare nel regime fiscale previsto per i proprietari. In questo caso, i redditi possono essere dichiarati come redditi diversi, senza obbligo di applicazione dell’IVA.
Se il gestore agisce esclusivamente come intermediario, senza fornire servizi accessori (come pulizia o manutenzione), l’attività può essere esente da IVA in base alla normativa sulla mediazione (art. 10 del DPR 633/1972). In questo caso, il gestore percepisce solo una commissione per il servizio svolto, senza applicare l’IVA.
Sebbene la normativa possa sembrare complessa, rispettarla garantisce la sostenibilità del business nel lungo termine e aumenta la credibilità verso clienti e autorità. Oltre agli obblighi fiscali, è obbligatorio rispettare anche la normativa sul registro degli ospiti.
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